Al di là del muro

Scritto da Andreoli Stefano il 29-10-2024

AL DI LA' DEL MURO


Lo sguardo di Franca
Attraverso i fiori viola porpora del grande albero di jacaranda guardo il cielo blu dell'Africa, cammino verso la spiaggia dove la marea respira risucchiando l'acqua al reef: laggiù si infrangono le onde e l'Oceano sprofonda negli abissi.
Un gruppo di ragazzi, che qui chiamano “beach boys”, stanno al di là del muro che divide la spiaggia dal Resort dei turisti lungo il quale passeggia giorno e notte il guardiano. I bianchi e i ricchi neri di qua e di là loro, quelli del villaggio, che cercano di vendere qualunque cosa, di accompagnarti, di indicarti luoghi, gite in barca, ristoranti.
Steve ed Elvis si mettono vicino a noi e camminano seguendoci dappertutto. Devono guadagnarsi la giornata. Mi chiedo quale vita hanno alle spalle, chi sono veramente e mi portano al loro villaggio, poco distante dal Resort.
Questa è l'Africa


Lo sguardo di Piero

L'Oceano indiano è davanti a me, le onde si allungano schiumose sulla spiaggia, in lontananza il reef, la barriera corallina disegna all'orizzonte una linea bianca in continuo movimento, nell'alternanza delle maree. Mi avvicino e davanti a me, al di là del muro uomini africani; i nostri sguardi si incrociano e da quel momento inizia una storia di passi fatti insieme, di mani che si toccano, di occhi che si curano, di silenzi profondi, di parole importanti. La barriera si sgretola
poco alla volta e ci si riconosce umani, e la pelle nera, gli occhi grandi, i capelli ricci, le mani sabbiose e i piedi incalliti diventano parte di me. Il reef non mi fa paura lo raggiungiamo con la marea favorevole. Il fragore delle onde è altissimo, al di là il blu profondo, al di qua la quiete, la poca acqua limpida, lembi di sabbia bianca, una brezza leggera, il sole caldo e loro.
Insieme, aiutati dagli amici di Servas, costruiremo il tetto in lamiera della casa di Steve e renderemo più confortevole la scuola del villaggio.

 

ALLA PEACE CONFERENCE SERVAS IN KENYA


Arrivano amici da tutto il mondo per il Servas Peace Meeting & Conference. Siamo tutti in contatto in una chat: “Siamo già qui, noi ancora in Rwanda, noi a Nairobi, siamo ancora in viaggio dall'Argentina...” Al Meeting partecipano persone di tutti i continenti che si confrontano sul tema “ Costruiamo la pace, come?” e sul ruolo che può svolgere la nostra associazione, favorendo l'incontro fra le persone e le culture con lo scambio di ospitalità nelle case dei soci , promuove la pace e la comprensione fra i popoli; oggi i membri sentono impellente il compito di dover favorire il dialogo anche nell'ambito di altre iniziative: meeting nei vari continenti, scuole di pace, racconti sul web e attività di informazione e scambio con altre realtà che operano nel campo della nonviolenza .
Tra i tanti interventi resto colpita da quello di Philip dal Rwanda. Dopo averci spiegato che la guerra tra Hutu e Tutsi (un milione di persone ammazzate coi macete, un cimitero a cielo aperto -ci racconta-) ha generato rapporti violenti tra gli individui e in particolare sulle donne. Ci ha parlato di Rwamrec, una ONG che dal 2006 si occupa di “rieducare” gli uomini all'uguaglianza di genere e ai buoni comportamenti verso le donne e i figli. “Furono le donne a dover nutrire se
stesse e i figli rimasti in vita, ad occuparsi di parenti e orfani in un contesto di proprietà razziate e infrastutture distrutte” - spiega Philip - “Le donne erano in condizioni disperate, lo Stato non aveva i mezzi per superare la gravissima crisi e furono esse a cercare modalità di cooperazione, a riprendere realtà associative, a lavorare anche nei ruoli ritenuti maschili. Oggi il Rwanda è il Paese col più alto numero di donne parlamentari al mondo (nel 2018 erano il 68%), la costituzione impone quote rosa per un minimo del 30% e ha una legge per la punizione e la prevenzione delle violenza di genere, tra le cui forme è riconosciuto anche lo stupro coniugale”. Claire Paige, una attivista per il clima, che è impegnata sia nei paesi africani che in Gran Bretagna, ci ha raccontato quanto succede in Uganda, uno dei paesi più sensibili ai cambiamenti climatici, con piogge devastanti e alluvioni. Ci ha fornito dati precisi e ci ha poi invitato a riparlarne in Uganda.

 

UGANDA: NATURA INCONTAMINATA FINO A QUANDO?


La giraffa lenta staccava dai rami le foglie allungando il lungo collo flessuoso. Siamo nel Parco delle Murchison Falls. Il motore della jeep si spegne, si sente lo scrocchiare delle mandibole dell'animale che si volta verso di noi e ci guarda con gli occhi dalle lunghe ciglia scuotendo il muso. Alcuni minuti che sembrano un dialogo tra esseri viventi di questa terra, animali, umani e piante a condividere la sorte del nascere e morire, del nutrirsi e del respirare... elegante inizia a camminare dondolando e poi a correre perdendosi lontana verso l'orizzonte dove il cielo e la savana si uniscono. L'Uganda è famoso per i suoi Parchi naturali, per i picchi del Rwenzori, per l'immenso Lago Vittoria e le acque del Nilo che formano i laghi Alberto e Eduardo, una porzione dei quali segna il confine col Congo e per le impenetrabili foreste dove vivono i gorilla. E' una repubblica dittatoriale. Nel XIX secolo fu dominata prima dagli Arabi, attratti dal commercio degli schiavi e dell'avorio, poi a fine 800 dagli inglesi che iniziarono la coltura intensiva di cotone e caffè. Nel 1962 divenne indipendente. La storia del Paese è intrisa del sangue delle guerre civili e delle dittature feroci, oggi sopite ma latenti. La situazione sociale, al di là delle statistiche o dei dati ufficiali, l'abbiamo vista coi nostri occhi: la ricchezza esibita e prepotente di pochi e una massa di emarginati: misere e povere persone che vivono di nulla e si ammalano di tutto
e una miriade di bambini lasciati a se stessi o in braccio alle donne dallo sguardo dolente e dal seno rinsecchito.
In auto usciamo da Kampala, la capitale dell'Uganda: scorre davanti ai nostri occhi il video più impietoso dell'ingiustizia e della sofferenza in questo mondo. Si sta costruendo un oleodotto: il giacimento di petrolio è stato scoperto ai confini col Congo proprio ai bordi del Parco delle Murchison Falls. L'oleodeotto EACOP, (East Africa Crude Pipe Oil) sarà lungo 1443 km, attraverserà Uganda e Tanzania e dicono sarà il più lungo al mondo. E' stato ed è molto contestato, ha visto accordi sottoscritti e cancellati, e oggi è sostenuto al 65% dalla Total, dalla Cina 8% e da Uganda e Tanzania. Sta provocando lo spostamento forzato di popolazioni, rischia di minacciare le falde acquifere, provocare cambiamenti climatici. Sostengono che ci saranno risarcimenti: ma chi ridarà la terra ai poveri ? Il denaro finisce, la terra la si coltiva e di terra si vive. In Uganda ci sono proteste represse duramente, qui da noi non si sa abbastanza e lo scempio
dei 400 pozzi previsti è iniziato e lo abbiamo visto. Claire ci dice che 47 attivisti per il clima sono stati arrestati e sono in attesa di giudizio, ci dice che le popolazioni stanno cercando di resistere agli spostamenti forzati, ci consiglia di informarci sul web e alla Peace School fa coi ragazzi più grandi uno striscione: “We want a green future” e si inscena una manifestazione nel grande prato . La Peace School è stata anche questo.


A BUYOGA: LA FAMIGLIA KAYONDO

Arriviamo al villaggio di notte dopo un lungo trasferimento su strade trafficate. Non c'è luce solo i nostri cellulari illuminano la montagna dei bagagli stipati sui due pulmini: la babele delle lingue si confonde e ci confonde, dove sono le case? Prossy cerca di aiutarci e finalmente le varie nazionalità si compattano a gruppi. Noi con Gretel dal Belgio e Lucia di Catania si va alla casa della famiglia Kayondo, mia figlia e la sua famiglia in casa di Ssemambo insieme a 4 taiwanesi...tutti sparpagliati qua e là. “A domani mattina alle 8 al prato grande dove inizia la Peace School”! Entriamo nella casa, ci attendono Mr John il padre, la moglie e 4 figli. Tutta la famiglia è felice di accoglierci; il figlio più grande è prete, il più piccolo studia nel collegio privato della Chiesa, le due ragazze hanno studiato anch'esse, una è maestra e l'altra è infermiera. Mr.John è il capo villaggio e la famiglia è benestante per gli standard ugandesi. Christine e Joan parlano inglese (la lingua ufficiale del Paese) ed è abbastanza facile capirci. Ci hanno preparato la cena: patate dolci, cassava, matoke e hanno messo tutti gli arredi in una camera, loro dormono per terra sui materassi e questo per lasciare a noi le loro stanze coi letti e le zanzariere. Passiamo con loro tempo prezioso. Le due ragazze sono impegnate a cucinare e sono curiose dei nostri racconti. Dobbiamo insistere perchè si siedano a tavola con noi, perchè non abbiano di noi l'idea del bianco pretenzioso, per scalfire la loro timidezza. Cosa importa se mancano tanti “beni” a cui noi siamo abituati? Cosa importa se non facciamo la doccia e c'è solo un bidoncino di acqua? E spesso manca la corrente elettrica? L'amicizia calda e l'affetto che si instaura fra di noi è più prezioso di ogni disagio. Andiamo al campo dove coltivano il caffè, le banane e tutto quello che riescono. raccolgono il caffè a mano, a chicchi, uno per uno. Christine mi dice che lo portano ad una Cooperativa privata che paga loro un prezzo e poi invia i sacchi alla capitale: la solita storia poco denaro ai contadini produttori. “Sogno tanto di poter vendere io il mio caffè” - dice. Nessuno in famiglia beve caffè e la moka che abbiamo regalato è inutilizzabile.


IN CUCINA
La cucina è una piccola stanza piena di fumo. Gretel sta aiutando a pelare platani (varietà di banane), io preparo il sugo per gli spaghetti che abbiamo portato... In cucina c'è una panchetta e due bracieri uno a legna e l'altro a carbone, per terra. Sopra i bracieri le pentole. La verdura viene lavata in un catino versando poca acqua da un bidone di plastica. Bidoni gialli, tutti uguali e mezzi rotti che tutte le donne e i bambini del villaggio portano sulla testa dal pozzo alle case, tutti i giorni. Mrs. Kayondo, aiutata dalle figlie, sposta in continuazione le pentole a seconda della fiamma e dell'ordine delle cotture. Sempre china, anche se ha male alle ginocchia e alla schiena. Una gallina dispettosa entra a beccare per terra un avanzo di cibo, il pavimento di terra battuta è ingombro di
oggetti posati sulle foglie di banano: posate, mestoli, barattoli con le spezie e il sale. C'è il cibo buono, condiviso, c'è allegria e risate, ci sono storie e c'è tanto da imparare... Piero ha già fatto il progetto di un focolare e studiato il sistema per portare il fumo al tetto... lo faremo ma non ora, il prossimo anno? Chissà, ora c'è la Peace School!


ALLA SCUOLA DI PACE

Dobbiamo animare e frequentare la prima Scuola di Pace in Africa, istituita da Servas Uganda...la prima sorpresa? non 85 bambini -come ci avevano detto- ma quasi 300! In queste “Servas peace school” non c'è programmazione, ognuno insegna quello che sa e tutti hanno da imparare, quindi non ci sono maestri ma solo persone di buona volontà, capaci di inventare a seconda dei bisogni, arrangiarsi col materiale che si trova e relazionarsi in modo empatico. “Se loro non possono viaggiare, saranno i viaggiatori a portargli il mondo” Questo ci ha detto Mehemet il ragazzo turco che ha proposto queste scuole informali a  Servas. Tutti insieme messicani, venezuelani, statunitensi, argentini, belgi, italiani, inglesi, portoghesi, koreani, taiwanesi, indiani, turchi...abbiamo unito la nostra capacità creativa e operativa: insegnato la permacultura, piantato alberi, parlato di diritti, di cambiamenti climatici, ballato, giocato, disegnato, recitato,
aperto una biblioteca e portato la babele delle lingue, dei colori, delle tradizioni e delle culture a bambini e adolescenti che, prima di raggiungere il campo dove si svolgevano le attività, lavoravano e quando tornavano nel pomeriggio inoltrato ancora andavano a prendere acqua e legna per le loro famiglia. Bambini in coda col piatto in mano per un po di matoke o di riso per il pranzo.
L'ultimo giorno si è fatta la festa, Anna ci ha stupiti tutti: a 20 bambine ha insegnato passi di danza classica su musica da Youtube e loro orgogliose hanno danzato davanti a noi...poi la gente del villaggio è arrivata coi tamburi e la musica africana ci ha travolti in un addio pieno di emozione.

Franca Formento e Piero Giroldo

 

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